Ormai il suo nome è entrato nel vocabolario come sinonimo di ammaliatrice e di spietata seduttrice.
Lei, la divina Circe, figlia del Sole e della ninfa Perseide, abitava l’isola di Eea, identificata dai geografi con il Circeo di oggi, il promontorio laziale. Circe, famosa per aver trasformato in porci i compagni di Ulisse, è l’emblema del fascino che da sempre esercita la femminilità.
Beatrice Offor_Circe_1913
Il racconto di Omero
Circe è la Signora dalla natura selvaggia a cui Omero, nel canto X dell’Odissea, dedica più di quattrocento versi, raccontandoci di come la dea-maga vivesse da creatura immortale sulla terra, tra cielo e mare, in un fiabesco palazzo, immerso in una natura lussureggiante, dove tesseva e cantava con voce leggiadra.
Quali sono le arti di Circe?
Circe, il cui aspetto – secondo l’Odissea di Omero – era impreziosito da una lunga chioma di ricci capelli, attirava gli uomini col suo canto melodioso, li accoglieva con cibo in quantità celando l’insidia; con l’ausilio di pozioni magiche tramuta i suoi ospiti in maiali, (ma la ceramografia attesta anche trasformazioni in cani, leoni, lupi, arieti) con una chiara allusione alla loro incontrollata bramosia sessuale.
Insomma Circe è una maga seriale che trasforma gli uomini in animali. Un po’ come la legge del contrappasso di Dante
«Αἰαίην δ’ ἐς νῆσον ἀφικόμεθ’· ἔνθα δ’ ἔναιε
Κίρκη ἐϋπλόκαμος, δεινὴ θεὸς αὐδήεσσα,»«E arrivammo all’isola Eea: vi abitava
Circe dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana»(Odissea, X, 135-6; traduzione di G. Aurelio Privitera.)
Omero la definisce theá, dea discendente del Sole (e non come pharmakís, parola che indica propriamente le maghe). Era la sua, una bellezza insidiosa, il cui fascino le derivava anche dalle facoltà magiche: ella sa predire il futuro ed evocare i morti praticando la negromanzia, ha una voce capace di sortilegi come le Sirene ( leggi l’articolo), è in grado di controllare la natura, ammansendo le bestie e modificando le correnti di vento, sa preparare filtri magici e operare metamorfosi trasformando gli uomini che attraeva in animali, animali diversi a seconda della loro psicologia e del loro carattere. Non dimentichiamo che era la zia di Medea (leggi l’articolo), la più potente maga dell’antica Grecia
Tutti tranne Ulisse, l’eroe per eccellenza che, come sempre gli capitava quando le cose si mettevano male – devo dire pratica comune agli eroi greci – ricevette un aiutino dall’alto: un’erba magica, il “moly”, offertagli dal dio Mercurio, che lo rese immune alle seduzioni della maga. Ulisse riuscirà a domare questa donna selvaggia conquistandone il talamo divino e lei finirà per innamorarsene trattenendolo per un anno e dandogli un figlio.
Ritratto di Tilla Durieux_ Circe_ 1913_Franz von Stuck
Il significato nell’epos
Dobbiamo approfondire il racconto omerico analizzandolo alla luce dell’idea che i greci avevano delle donne, di fatto considerate una razza diversa e – come scrive Eva Cantarella nel suo bel libro Itaca
“le donne sono l’alterità che non si può comprendere. E come tutto quello che è incomprensibile e incontrollabile, sono pericolose”. – Eva Canterella, Itaca
Libro ITACA di Eva Cantarella
Circe quindi nell’epos greco rappresenta la divina incarnazione dello spirito femminile dominante che prende l’iniziativa, suscitando il desiderio al di fuori dei luoghi istituzionalmente deputati a tal fine.
Circe quindi fin dall’antichità si pone come emblema di una femminilità non sottoposta al controllo maschile, di una donna conscia del suo potere seduttivo e per questo capace di esercitarlo, che vive libera e indipendente, non sottomessa ai vincoli coniugali della società civile.
Certamente è lei la più illustre antenata delle tante circi che hanno popolato la letteratura e l’arte occidentale di tutti i tempi. Altre sue illustri colleghe nell’arte di preparare filtri e pozioni sono, nel Medioevo la fata Morgana del ciclo arturiano e nel Rinascimento l’Alcina dell’Orlando furioso.
Tuttavia sono diverse le donne della mitologia, Didone, Arianna, Medea ( leggi gli articoli ) e perché no, anche Cleopatra, maghe sapienti e consapevoli, sedotte dall’eroe di turno e tutte destinate a tragica fine. Ognuna di loro è una storia a sé e merita la giusta dissertazione e le giuste pagine.
La domanda sorge spontanea
Rimane l’arcano quesito: come mai donne sagge e consapevoli, esperte conoscitrici di arti magiche si siano fatte sedurre, manipolare e soprattutto sfruttare dal bell’imbusto di turno che aveva come fine il conseguimento della gloria?
John William Waterhouse_Circe che offre la coppa ad Ulisse, 1891