Didone ed Enea. Quando la donna intelligente si innamora dell’inetto.

“Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis” – Amore crudele, a che cosa non costringi i cuori dei mortali

Virgilio, Enede, IV 412)

Come una regina saggia, intelligente e con un piglio manageriale di tutto rispetto, si sia fatta abbindolare da Enea, che tra gli eroi greci, non è sicuramente il più prestante, rimane ancora per me fonte di delusione. 

Oltre che Virgilio, fu Ovidio nelle Heroides (lettere in versi che il poeta, tra il 25 a.C. e l’8 d.C., immaginò che le eroine più famose della mitologia inviassero agli amati,) a narrare la vicenda del loro tragico amore, – badate bene! – tragico per Didone non per Enea, che bel bello tomo tomo cacchio cacchio se ne andò a fondare la sua città. Le eroine tratteggiate da Ovidio,non sono mai vittime, infatti, sono donne forti, indipendenti e, talvolta a buon diritto, piuttosto arrabbiate. Tuttavia non prive di fierezza e dignità.

Così parla Didone rivolgendosi a se stessa in terza persona:

«Enea le ha dato la ragione di morte e una spada.

Didone è caduta di sua propria mano

Ovidio ne traccia una caratterizzazione psicologica estremamente moderna. Il travaglio interiore oscilla tra la minaccia, il riserbo dignitoso e la supplica. Didone accusa Enea di empietà e codardia, scaglia più volte contro di lui anatemi e altrettante invoca gli dei di proteggerlo. Fino a raggiungere il climax nella morte che avviene per sua stessa mano con la spada che tiene in grembo.

Vediamo a grandi linee chi fosse Didone prima dell’approdo di Enea.

Didone, bella, piena di fascino e aristocratica, era una principessa fenicia, figlia del re di Tiro e moglie di Sicheo. Alla morte del padre salì al trono insieme a suo fratello Pigmalione ma quest’ultimo, avido di potere e geloso delle ricchezze del cognato, uccise Sicheo.

Probabilmente con lo scopo di evitare la guerra civile, Didone lasciò Tiro con buona parte della corte al suo seguito e con l’oro del marito defunto cominciò una lunga peregrinazione, fin quando approda sulle coste dell’Africa settentrionale.

Qui ottiene dal re Iarba, di lei invaghitosi, il permesso di potersi stabilire ottenendo tanto terreno «quanto ne poteva contenere una pelle di bue». Che magnanimo questo re! Didone astuta come poche e dimostrando di avere doti di grande intraprendenza, tagliò la pelle di bue in striscioline talmente sottili, le mise in fila e delimitò con esse il territorio sul quale avrebbe fondato la nuova città Cartagine, il cui antico soprannome era Birsa “pelle di bue”. Ma non una Cartagine qualunque, quella che divenne la regina di tutte le rotte commerciali!

Didone compie le sue imprese da sola, senza ricevere l’aiuto di nessuno. E’ importante che questo punto sia chiaro per tutti.

Chi era Enea?

Domanda retorica la mia, tutti ( si spera) conosceranno Enea. Eroe non particolarmente valoroso nell’epos greco, fin quando per sfuggire alla distruzione della guerra di Troia, scappa attraverso un passaggio segreto portando con se il figlio Ascanio e sulle spalle il vecchio padre Anchise. Sicuramente un’azione che gli rende onore, se non fosse che nella fuga si dimentica di Creusa. Chi era Creusa direte voi: la moglie era, che vuoi che sia, una quisquilia, una bazzecola. Tuttavia Enea è figlio della “tessitrice d’inganni” Afrodite, la quale lo ha destinato a grandi onori. Dovrà fondare una nuova città sulle coste italiche e perpetrare così la discendenza troiana. Ne converrete che essere etichettati come “figli di Troia” non risulta poi così offensivo.😁

Perché si innamorano?

Nell’epos greco, dietro le tresche amorose dei mortali o quasi, ci sono le schermaglie di dee in competizione fra loro. La sorte di Didone è un danno mal calcolato degli orditi di due Dee rivali: Afrodite vs Giunone. Quest’ultima, invidiosa per la storia del Pomo-della-Discordia che un ingenuo Paride, principe troiano, assegnò ad Afrodite, decretando così la più bella fra le dee, fa imbattere Enea in una tempesta marina che lo fa naufragare sulle coste libiche. Afrodite invece, ritenendo che fosse necessario per il figlio riposarsi dignitosamente prima di riprendere il viaggio, cerca di sfruttare il naufragio a proprio vantaggio. Manda Cupido sotto le sembianze del figlioletto di Enea, Ascanio, dalla regina Didone, la quale non appena prende in braccio il piccolo, rimane vittima dell’incantesimo che le accende il cuore per Enea; Giunone, vedendo la sua protetta presa da amore per Enea, propone a Venere di unire in matrimonio la regina della città fenicia e l’eroe troiano. Il suo disegno è sottile: la moglie di Giove, infatti, sa che la stirpe di Enea potrebbe distruggere Cartagine per volere del Fato. Un matrimonio tra Didone ed Enea, però, scongiurerebbe una tale eventualità. Didone ed Enea durante un violento temporale, trovano riparo in una grotta e si lasciano vincere dalla passione. Il loro amore, nonostante all’epoca non ci fossero i social,🤦‍♀️ diventa di dominio pubblico e il re Iarba, già rifiutato dalla regina, per vendicarsi chiede aiuto al padre Giove ( Giove aveva figli in ogni dove), il quale conoscendo il Fato di Enea, manda subito Mercurio, il messaggero degli dei, a ricordare a Enea quale fosse il suo destino, invitandolo a riprendere il viaggio immantinente.

Quando un grande guerriero è anche un piccolo uomo

A Enea viene ordinato di partire. Non può disobbedire, non può sottrarsi. Qual è dunque, la colpa di Enea? Il suo comportamento. Enea appena è venuto a conoscenza che dovrà lasciare Cartagine, pensa di svignarsela nottetempo, come un codardo all’insaputa della regina. E quando lei lo scopre e giustamente, si adira, lui raccatta alla meglio qualche frase in sua difesa, adducendo che si tratta di un ordine divino e che non ha altra scelta e conclude dicendo di non aver mai inteso celebrare nozze ufficiali perché non poteva privare né se stesso, né il proprio figlio, né i Troiani che lo avevano seguito, dal grande destino che li aspettava. E conclude il discorso così:

Cessa di affliggere, perciò, te stessa

e me coi tuoi lamenti: non per mio volere

vado inseguendo le spiagge d’Italia. (Eneide, IV, vv. 558-562)

Dopo aver ascoltato queste aride parole, in uno scatto di orgoglio, Didone maledice Enea e torna alla reggia voltandogli le spalle. Tuttavia, disperata, cerca ancora di convincere Enea, infatti, Didone, perso ormai l’orgoglio regale, manderà la sorella Anna, a implorarlo ancora di restare. Ma la mente di Enea ormai è fredda, lontana, viaggia verso i futuri allori e gli importa soltanto di partire. E così, quando Anna le comunica l’esito negativo dei suoi tentativi di conciliazione, l’animo di Didone si perde definitivamente.

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L’effera Dido, con gli occhi iniettati di sangue e la pelle pallida, nel vedere all’alba, le vele dei Troiani già lontane, si trafigge con la spada che Enea stesso le aveva donato. Lancia un feroce anatema all’amato fuggitivo che legherà le stirpi di Troiani e Cartaginesi nell’odio per i secoli a venire.(come non menzionare le Guerre Puniche)

Perché tornare a rileggere il mito di Didone ed Enea?

Nei miti antichi possiamo trovare sempre grandissime lezioni. Essi spiegano la verità sulle debolezze umane. Passano i secoli ma le dinamiche amorose rimangono le stesse. Gli uomini rimangono gli stessi. Enea, intrepido eroe in battaglia diventa un pavido omuncolo quando si tratta di assumere le proprie responsabilità di fronte ad una donna. Esattamente come tanti uomini d’oggi che nonostante possano sembrare risolti e determinati in ambito lavorativo, risultano manchevoli e incapaci nei territori in cui è la sfera dei sentimenti a entrare in causa. E Didone, la regina che un tempo era forte, arguta, abile a fuggire i pericoli mortali e capace di far sorgere dal nulla un regno per sé e per il suo popolo, si trasforma in una donna che perde il ben dell’intelletto, smarrita e in preda alla follia. Risulta totalmente impreparata al sentimento, soccombe all’amore come una sprovveduta qualunque.

“quanto alla divina follia ne abbiamo distinto quattro forme […]. La quarta, la più eccelsa, è sotto l’influsso di Afrodite e di Amore” – Fedro, Platone

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Possiamo giungere alla conclusione che nella sofferenza e nel dolore, tutti ci assomigliamo, il dolore è molto democratico e accomuna regine, eroi in fuga, divinità, comuni mortali, uomini e donne.

Curiosità : viene definito Complesso di Didone, ogni volta che una donna forte si invaghisce di un uomo incapace, un inetto appunto.

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