Søren Kierkegaard e Regine Olsen. Un amore consegnato all’immortalità

L’incontro

Søren Kierkegaard aveva 24 anni e Regine 14 quando si incontrarono per la prima volta e fu colpo di fulmine. Lui era uno studente taciturno e riflessivo il cui pensiero era fortemente condizionato dalle sciagure familiari e dal padre. Si era convinto di essere stato maledetto e che qualche funesta sciagura si sarebbe abbattuta su di lui o su chi gli fosse stato vicino e che mai avrebbe potuto essere felice. Questo oscuro convincimento si manifestò durate il periodo di fidanzamento con Regine, adottando una serie di comportamenti insoliti che poi divennero l’oggetto di pettegolezzi che contribuirono a farlo etichettare come soggetto strano, vittima anche delle vignette satiriche dei quotidiani del tempo (per cui il filosofo soffrì tanto, non riuscendosi a spiegare questo accanimento nei suoi confronti).

La presunta maledizione e le sue conseguenze

Una volta le propose, donandole molta gioia, di fare una passeggiata in carrozza, ma poco prima di raggiungere la destinazione prefissata chiese al cocchiere di tornare indietro, affinché lei si abituasse nella negazione dei piaceri. Oppure partito per seguire i suoi studi le scriveva lettere facendole credere di essere tradita con la frequentazione di altre donne, condizione assolutamente mendace, perché lui amava Regine incredibilmente e riteneva ogni gesto di lei, anche il più innocente, come fonte di un elegante erotismo.

Questi tentativi di sabotaggio della relazione raggiunsero il culmine l’11 agosto 1841, allorché il filosofo ruppe il fidanzamento senza motivazione alcuna. Il dolore che provò fu straziante, fu colto da un continuo stato di angoscia. Regine tentò il suicidio e solo dopo alcuni anni si rifece una vita sposando il suo vecchio precettore Johan Frederik Schlegel.

Dalla sofferenza scaturiscono pagine di alta filosofia

Søren quasi impazzì dal dolore, così l’incubo che temeva da giovane si era concretizzato. Il dolore provato lo rende ancor più prolifico letterariamente, scrive libri geniali che cambiano per sempre i risvolti filosofici europei non solo nel dibattito post hegeliano, ma anche a posteriori. Tuttavia non li firma col suo nome, utilizza eteronimi 

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Tutte maschere dietro cui Søren Kierkegaard si celava: Victor Eremita, Johannes de Silentio, Costantine Costantius. Tutto ciò che non ebbe il coraggio di dire alla sua amata, il perché del suo abbandono, diventa il tema fondamentale della moderna filosofia occidentale. Capì che era lei il tutto in cui ruotava la sua esistenza, la sua filosofia, il suo essere, scrisse: “La legge della mia vita è che lei ritorna in tutti i punti decisivi“.

Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio, o forse no. Però mi è venuto il dubbio e vorrei anche sapere se ogni tanto questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso per poter ricordare te.
Victor Eremita alias Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore, 1843

Un tentativo fallito


Søren rimpianse Regine per tutta la vita, la osservava da lontano per cercare di capire se Regine provava ancora qualcosa per lui. Arrivò persino a scrivere al marito di lei una lettera chiedendo di poter parlare a Regine. Si ritiene che Johan, timoroso, la bruciò e non ne parlò con la donna.

Di seguito la Lettera del 1849 a Regine, da Kierkegaard spedita, ma alla quale non ricevette mai risposta.

Allo stimatissimo signor X:
la lettera acclusa è mia per la Vs. compagna di vita.
Decidete Voi se consegnargliela o meno.
Io non cerco, in modo alcuno, di potarVela via: intendo solo narrarle ciò che fummo, perché lei si senta libera di ricordare il bene, e il male, di quello che fu la nostra storia.
Ho l’onore di professarmi Vostro devotissimo
S.A.K

Mia Regine,

il cuore, è come una casa subacquea ove vi sono molte stanze: giù nel fondo, poi, vi sono camere piccole, ma accoglienti, dove si può stare tranquillamente seduti, mentre fuori il mare tempestoso; in alcune di esse possiamo udire in lontananza il rumore del mondo (non angosciosamente assordante, ma sempre più fievole e quieto… sai perché? Perché gli abitanti di queste stanze sono coloro che s’amano).
Ma da lungo tempo oramai, cara amica, non abiti più queste segrete magioni: io e te siamo separati, lontani nello spazio infinito del tempo, nella piccola circoscrizione dello spazio: non è poi così immensa Copenaghen! Ti scrivo ora, perché finalmente voglio che ti sia chiaro perché la nostra storia è finita.
Da quando ti conobbi, ho sempre cercato di vivere artisticamente: volli farmi simile a te, cercando di ritrovare una sensibilità prontissima a cogliere ogni cosa fosse interessante nella tua vita: avevi il dono, cara amica, di saper presentare come arte (non la chiamerò poesia, perché tu con le parole non eri brava come con i suoni e con le immagini: eri erotica in ogni tuo gesto, come solo una ragazza della tua età può essere) qualsiasi cosa tu vivessi: era questo che mi aveva fatto innamorare di te, era questo che mi allontanava terribilmente da te.
La tua arte, amica mia era il ‘di più’ che solo tu potevi donarmi, perché tutta la tua esistenza (bisogna dirlo!) era impostata sul godimento artistico: e un po’ di quel piacere eri riuscita a passarlo a me… il punto è che io non potevo vivere così in eterno, perché io non sono così, e pur di piacere a te, violentavo me stesso. Dolce tortura, ma pur sempre tortura!
Da quando ti ho conosciuta, ho cercato per settimane, ovunque, la tua figura: sapevo che, attorno a te, girava un uomo di grande valore, e io di lui avevo paura perché egli ti era vicino, come uno spettro in una città morta: cosa avesse lui più di me, l’arguzia, l’aspetto… io non l’ho mai capito. Eppure, piccola Regine, ho avuto la fortuna di conquistarti, perché l’amore che io potevo offrirti (e lo sai) era perfetto e totale; il suo, era solo desiderio (anche tu lo desideravi? Immagino di sì, perché è difficile convivere col desiderio!) mentre la mia, era devozione. Forse tu non eri pronta a cotanto sentimento? La storia parlerà per noi. Regine… non ti chiamo ‘mia’ perché non lo sei mai stata (e io ho pagato duramente la felicità che l’idea di possederti mi dava un tempo)… e tuttavia, come posso non dire ‘mia’, dato che tu fosti per me ‘mia’ seduttrice, ‘mia’ assassina, origine della ‘mia’ sventura, ‘mia’ tomba… già. Ti chiamo ‘mia’, e parlando di me, mi chiamo ‘tuo’; tuo tormento vorrei essere, ricordarti con la mia oscura presenza, quello che fummo assieme come in un eterno incubo di morte… ma perché perseguitarti, quando – se mai in vita fui felice, fu quando tu m’ingannavi?
Ma davvero poi il tuo corpo poteva così manifestamente mentire? E la tua mente, il luccichio dei tuoi occhi, erano davvero falsi come io ora credo? Regine mia, non c’è proprio nessuna speranza, davvero nessuna? Il tuo amore non si ridesterà mai più? Io lo so che, nonostante tutto e tutti, tu mi hai amato, benché non sappia dire donde mi venga questa certezza.
Sono pronto ad aspettare a lungo; aspetterò, aspetterò fino a che non sarai sazia degli altri uomini, e quando il tuo amore per me risorgerà dalla tomba: allora, e solo allora, riuscirò ad amarti come sempre, e ti renderò grazie come un tempo, Regine, quando, poggiato al tuo seno, ascoltavo il dolce e regolare moto del tuo respiro, e ti ringraziavo per esser con me.
Non potrai essere così crudele e spietata verso di me in eterno, mia Regine: giungerà il giorno del tuo perdono o del tuo ravvedimento… non ricordo neppure chi dei due distrusse la nostra storia.
No Regine, chi abbia lasciato chi ora non conta.

Sei stata crudele con me, al pari di come io lo fu con te, è vero.
In realtà, tu non lo sai, io ho taciuto il mio dolore e le poche cattiverie dette su di te non hanno che la consistenza dell’aria: solo Dio sa cosa ho sofferto (e voglia il Signore che nemmeno ora io te le racconti)! Mia Regine io ti devo molto… e ora che non sei più mia, ti offro una seconda volta ciò che posso e oso e conviene che ti offra: me stesso
Sì, ti dono questo cuore che già in passato fu tuo, e lo faccio per iscritto, per non stupirti e non sconvolgerti. Forse la mia personalità ha fatto su di te un’impressione troppo forte, in passato: ciò non deve accadere una seconda volta, e se tu dovessi accettare la mia mano tesa, dovrebbe essere per vero amore, non per impressione.
Mia Regine, prima di dirmi di no!, ti prego, rifletti seriamente (per amore di Dio nei cieli) se puoi, o meno, parlarne con me con serenità, e in tal caso se preferisci farlo per lettera o direttamente a voce. Se invece tu, dopo accurata riflessione, decidessi comunque di non darmi più alcuna risposta, se la tua risposta al mio amore fosse ‘no’, ricorda almeno – per amor del cielo – che per te, e solo per te, ho fatto, e rifarei mill’altre volte, questo passo.

In ogni caso resto,
quale sono stato dall’inizio fino a questo momento,
sinceramente il tuo devotissimo
S.A.K.

Søren Kierkegaard muore l’11 novembre 1855, sulla lapide non fu scritto il suo nome, ma “un singolo” come da suo desiderio. 

Se io dovessi domandare un epitaffio per la mia tomba, non chiederei che : “quel Singolo”, anche se ora questa categoria non è capita. Lo sarà in seguito.

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