Si incontrarono nella Lisbona degli anni venti, casualmente, in cima alle scale dell’ufficio, dove lui trentenne, schivo, totalmente dedito alla sua opera letteraria e non ancora conosciuto lavorava come traduttore commerciale, lei diciottenne, decisa ad affrancarsi dalla famiglia trovava impiego come dattilografa. L’incontro suscitò ilarità ad Ophelia a causa dell’abbigliamento stravagante di Fernando che indossava i pantaloni infilati nelle ghette e il papillon.
Così iniziò il namoro, con sguardi furtivi, piccoli doni, cioccolatini lasciati sulla scrivania. Di lì a breve Fernando dichiarò ad Ophelia il suo amore inginocchiandosi e citando i versi di Shakespeare scritti per un’altra Ophelia
“Oh cara Ofélia! Non ho pratica di versi, non ho arte per rendere eloquenti i miei sospiri, ma ti amo, più di tutto, davvero!”
Conosciamo la loro storia d’amore attraverso le lettere che i due innamorati si sono scambiati, il carteggio amoroso è stato raccolto nel libro Lettere alla fidanzata, a cura di Antonio Tabucchi, uscito 1978, quando Ophelia aveva 78 anni e Fernando era morto da 43
Il Nàmoro
La storia che esce dal carteggio è incorporea, un amore non realizzato, né sessuale né platonico, il Pessoa che emerge dalla corrispondenza è spesso puerile. Faceva larghissimo uso di nomignoli e vezzeggiativi, la chiamava bebezinha, Ophélinha, amorzinho.
«28 maggio 1920.
Piccina mia: quello che avrei dovuto dirti nell’altra lettera e che non ho avuto il tempo di fare, ma che ti dico qui, è questo, e ti chiedo di imparare bene la lezione e, se mi ami, di ascoltare questo consiglio: il Destino è una specie di persona, e smette di tormentarci se ci mostriamo indifferenti a quello che fa»
Ophelina è un intermezzo fra le sue “carte” filosofiche e poetiche, nella molteplicità di voci e di vite che lo abitavano; non è solo Fernando a incontrarla ma a volte il suo eteronimo Alvaro de Campos. Ophelina lo racconta, nei suoi ricordi:
«Fernando era una persona molto speciale. Tutta la sua maniera di essere, perfino nel vestire, era speciale Ma forse io allora non me ne accorgevo, perché ero troppo innamorata. La sua sensibilità, la sua tenerezza, la sua timidezza, la sua eccentricità, mi incantavano… A volte era un po’ assente, ad esempio quando si presentava come Alvaro de Campos. Mi diceva: “Sai, oggi non ero io, al mio posto è venuto il mio amico Alvaro de Campos”».
Un amore irreale
Ophelia inventò per lui l’eteronimo Ferdinand Personne.
Personne in francese significa nessuno, alludendo alla consuetudine di Pessoa di creare numerose personalità con l’uso di eteronimi, senza averne una sua.
Nelle lettere emerge un vento di leggerezza, di inconsistenza, un luogo dell’infanzia in cui Pessoa giocava a nascondino attraverso l’uso dell’eteronomia. Le molte vite parallele, infinitamente più ricche della sua, gestite contemporaneamente da Pessoa, erano necessarie allo scrittore per evadere dalla sua, frustrante. Uno o più alter ego per sopravvivere in maniera geniale alla mediocrità della vita.
23 maggio 1920
Mio piccolo Bebè, oggi, dopo essere passato per la tua strada, e averti vista, sono tornato indietro per chiederti una cosa ma tu eri sparita… Non vorrei perdere l’occasione di vederti, ma non vorrei nemmeno perdere tempo inutilmente cercandoti dove non sarai o non passerai»
Lei era giovane e piena di vita, sognava il matrimonio con il suo amore, lui glissava e spesso non si presentava agli appuntamenti, e così Ophelia lo mise alle strette
“Fernandinho, se non ha mai pensato a metter su famiglia e se nemmeno ci pensa, le chiedo di dirmelo per iscritto, di comunicarmi le sue intenzioni su di me. Vivere nella completa incertezza mi mortifica enormemente e io preferirei la delusione al vivere come un’illusa
Pessoa Il 29 novembre 1920 le risponde dichiarando che o amor passou, che il loro amore è finito con una bellissima lettera, la lettera del primo addio
“Ophelinha, la ringrazio per la lettera. Essa mi ha portato dolore e sollievo allo stesso tempo. Dolore perché queste cose addolorano sempre; sollievo perché, in verità, l’unica soluzione è questa: non prolungare oltre una situazione che ormai non trova più una giustificazione nell’amore, né da una parte né dall’altra.”
La storia finisce
Ophelia sembra accettare il dato di fatto, ma nove anni dopo cercherà di ricontattarlo. Ma il sentimento fresco e leggero, provato nove anni prima, in pochi mesi viene meno. La seconda parte della loro relazione, sarà molto più breve e meno felice, abitata sempre più, dai fantasmi, dalle nevrosi e manie abituali dello scrittore.
«Del resto, la mia vita ruota intorno alla mia opera letteraria – buona o cattiva che sia o che possa essere. Tutte le altre cose hanno per me un interesse secondario: ovviamente ci sono cose che mi piacerebbe avere, altre che poco importa che arrivino o no. È necessario che tutti quelli che hanno a che fare con me si convincano che io sono così, […] e che trattarmi come se io fossi un’altra persona non è il modo migliore per conservare il mio affetto […] Ti voglio molto bene. Davvero molto – Orphelina mia. Apprezzo molto – moltissimo – la tua indole e il tuo carattere. Se mai dovessi sposarmi non sposerei che te».
Ma sapeva bene che non lo avrebbe mai fatto. Non poteva, soprattutto non voleva, dirottare la devozione che riservava alla letteratura, suo unico vero amore. E il 29 settembre del 1929 scrive a Ophelia il suo addio definitivo
“Il Tempo, che invecchia volti e capelli, invecchia anche, ma ancora più in fretta, gli affetti più coinvolgenti. La maggior parte delle persone, perché è stupida, non se ne rende conto, e crede di continuare ad amare perché ha l’abitudine di sentire se stessa che ama. Se così non fosse, al mondo non ci sarebbero persone felici”.