Eugenio Montale a Carla Fracci, ” la danzatrice stanca”


Oggi, 27 maggio 2021, all’età di 85 anni ci ha lasciato CARLA FRACCI, un mito della danza, anzi lei era la danza. 

La prima ballerina assoluta

così l’ha definita il New York Times nel 1981.


Le parole che associo alla sua figura sono leggiadria, grazia, eleganza e tenacia. Quella tenacia che dalla sua famiglia di umili origini l’ha portata in cima agli onori dell’Olimpo, a calcare i palcoscenici dei più importanti e blasonati teatri internazionali danzando con i più grandi ballerini da Rudolf Nureyev a Marinel Stefanescu, a Gheorghe Iancu a Roberto Bolle. E’ nota per aver interpretato figure romantiche e drammatiche quali Giselle, Giulietta, Medea. (leggi l’articolo). Di sé diceva

“In tanti mi hanno chiesto come ci si sente a essere un mito. Ma i miei che erano dei lavoratori, padre tranviere, madre operaia mi hanno insegnato che il successo si deve guadagnare. E io ho lavorato, lavorato, lavorato… “. E poi: “Sono cresciuta tra i contadini, nelle campagne vicino Cremona, libera, tra molti affetti e necessità concrete. E proprio lì, ben piantate nella terra, ci sono le mie radici”.

Voglio ricordarla con i versi che Eugenio Montale le ha dedicato con la poesia La danzatrice stanca, nel lontano 1969.

Torna a fiorir la rosa che pur dianzi languia…
dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.
e quando mai può dirsi per stagioni
che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?
ma si parla della rifioritura
d’una convalescente, di una guancia
meno pallente ove non sia muffito
l’aggettivo, del più vivido accendersi
dell’occhio, anzi del guardo.
è questo il solo fiore che rimane
con qualche merto d’un tuo dulcamara.
a te bastano i piedi sulla bilancia
per misurare i pochi milligrammi
che i già defunti turni stagionali
non seppero sottrarti. Poi potrai
rimettere le ali non più nubecola
celeste ma terrestre e non è detto
che il cielo se ne accorga. basta che uno
stupisca che il tuo fiore si rincarna
si meraviglia. non è di tutti i giorni
in questi nivei défilés di morte.

Si conobbero al Teatro alla Scala, al tempo il poeta era critico musicale per il Corriere della sera ed era già famoso, risale a ben 30 anni prima la pubblicazione di  Ossi di Seppia .

La frequentazione assidua della Scala gli permise di assistere ai progressi di Carla Fracci, misurandone l’ascesa da ballerina di fila a protagonista assoluta della scena internazionale, stringendo con lei un legame di intensa amicizia e assidua frequentazione.

Il poeta descrive la danzatrice che torna sul palco dopo la gravidanza più forte di prima ( a te bastano i piedi sulla bilancia per misurare i pochi milligrammi che i già defunti turni stagionali non seppero sottrarti), con la consueta grazia e leggiadria (rimettere le ali) ma anche testimonia la capacità della danzatrice di far tornare in vita personaggi che senza il suo tocco rimarrebbero inanimati (nivei défilés di morte).

Metodo, disciplina, abnegazione, talento sono elementi indispensabili per il raggiungimento di un duraturo successo,elementi che erano propri della grande, immensa Carla Fracci

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