Artemisia Gentileschi, perfetto connubio di coraggio e talento.

“Le opere, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore” – Marcel Proust –

La Storia dell’arte è affollata di tanti nomi maschili e quasi inesistente di quelli femminili. Non perché alle donne mancasse l’estro creativo, semplicemente perché le donne artiste per molti secoli restano ‘invisibili’  fra le mura di casa o di un convento, dedite a ciò che le era consentito fare, alle arti cosiddette minori quali il cucito, il ricamo, la tessitura, la miniatura. 

Nel Medioevo non possono intraprendere alcun tipo di apprendistato nelle botteghe d’arte o artigiane; per cui fino al Cinquecento ma anche oltre, viene repressa e ignorata ogni loro aspirazione artistica. 

Nel 1600 spicca per talento e intensità la figura di Artemisia Gentileschi, la maggiore pittrice del Seicento, fra i massimi artisti italiani d’ogni tempo, figlia di Orazio Gentileschi, noto pittore romano esponente della scuola caravaggesca.  Ed è proprio nello studio del padre che inizia a coltivare il suo talento.


Qui a diciassette anni realizzò la sua prima opera, Susanna e i vecchioni, nella quale viene ritratta una donna mentre fa il bagno molestata da due uomini ai quali cerca di sfuggire. Il tema della condizione della donna ricorre prepotentemente nei suoi lavori.

Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610

La violenza subita e tutto cambia

All’età di diciotto anni venne violentata dal suo insegnante di prospettiva, il pittore Agostino Tassi, difatto un mascalzone tuttavia stimato amico del padre, a cui seguì la promessa di un matrimonio riparatore. Promessa disattesa perché il Tassi era già sposato, Artemisia decise così di denunciare il suo stupratore. Durante il processo dovette subire ogni tipo di umiliazione, i suoi genitali furono esaminati in pubblico da un notaio e fu sottoposta al supplizio dei “sibilli” in cui le furono stritolate con forza inaudita le dita delle mani fino al sanguinamento. La giustizia maschilista e misogina non permetteva alcuna clemenza verso le vittime di sesso femminile e il procedimento giudiziario era orientato più ad una svalutazione della vittima su pubblica piazza piuttosto che ad una tutela e una ricerca di giustizia. La donna era colpevole due volte: sia per la violenza subita che per la volontà di denunciare l’accaduto.

“Se una donna subisce uno stupro, deve aver fatto qualche gesto di invito. Che stavate facendo?

“Dipingendo! – La passione di Artemisia, S. Vreelander, 2002

A Firenze avviene la svolta della sua vita

La conclusione della vicenda giudiziaria con la condanna all’esilio da Roma del Tassi, il farabutto grazie alle sue amicizie influenti, pare non si sia mai spostato dalla capitale e abbia continuato a vivere indisturbato, non mise tuttavia a tacere le voci e i pregiudizi sul conto di Artemisia.

Si insinuò nell’opinione pubblica dell’epoca l’immagine di donna “dai facili costumi”. Le maldicenze e le dicerie la accompagnarono fin quando non decise di lasciare Roma per trasferirsi a Firenze, alla corte di Cosimo II dei Medici, dove conobbe Galileo Galilei, con il quale ebbe una fitta corrispondenza e Michelangelo Buonarroti. Qui il suo talento e la sua determinazione le permisero di essere introdotta, unica presenza femminile, all’Accademia Europea del Disegno.

Giuditta che decapita Oloferne, la sua opera manifesto

Tre anni prima della sua ammissione. Artemisia aveva già dipinto il suo capolavoro intitolato “Giuditta che decapita Oloferne”, una tela di 159×126 cm. che rievoca il cruento episodio biblico trattato anche da Caravaggio. In realtà il quadro ha un significato simbolico, la testa sembra uscire da una vagina e rappresenta la rinascita di Artemisia. Ogni sua opera trasuda pathos, carica di vis espressiva, colma di rabbia e risentimento. Nella fredda violenza del gesto di Giuditta che decapita Oloferne si può cogliere il rancore di tutte le donne violentate nei secoli; per cui Artemisia Gentileschi è stata considerata la paladina della giustizia contro la violenza sulle donne e i suoi magnifici quadri sono assunti a simbolo dal femminismo del XX secolo.

A raccontare la storia di questa incredibile pittrice è il film documentario Artemisia Gentileschi, Pittrice Guerriera, diretto dal regista e produttore Jordan River

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