Italia. Open to Meraviglia: saccheggio e dileggio

La Venere di Sandro Botticelli si trova involontariamente al centro di un polverone mediatico in qualità di Testimonial di una improbabile campagna di comunicazione ideata dal gruppo Armando Testa per l’Enit, Agenzia Nazionale del Turismo. Poche cose hanno unito gli italiani nel giudizio come questa campagna, definita all’unanimità stereotipata, kitsch, ma soprattutto costosa (ben nove milioni di euro. “E io pago!” Diceva un grande…)

Ho cercato di esaminare la campagna pubblicitaria Italia. Open to Meraviglia, in qualità di tecnica, scevra da attaccamenti di ordine sentimentale/emotivo verso il quadro di Botticelli – per me il QUADRO per elezione – cercando di farne una disamina dalla mia esperienza nel settore della comunicazione da oltre venti anni, non senza qualche accenno alla storia della pubblicità.

E dunque a voi un excursus – Beccatevi ‘sto pippone suonava male – 🤣

Quando nasce la Pubblicità?

Gli ultimi decenni hanno visto una forte affermazione del marketing che ha spostato il focus sulla costruzione della comunicazione. La comunicazione è l’elemento fondamentale dell’essere di un’impresa, ne determina il modo di relazionarsi con il mondo esterno e ne costituisce l’identità̀ (ciò̀ che è), l’immagine (come vuole apparire) e la personalità̀ (il modo di imporsi sul mercato). Ritengo di poter affermare che il marketing è per l’azienda ciò̀ che un curatore di immagine è per l’individuo. Ma forse questo paragone è limitativo, oserei dire che il marketing corrisponde a una squadra composta da curatore d’immagine, guru spirituale e personal trainer. E già questa premessa basterebbe a fare le dovute deduzioni! 

La nascita della pubblicità̀ moderna si ha nell’Ottocento, secolo del progresso, che offre le basi economiche, storiche e culturali. Dai primi decenni dell’Ottocento, i primi Manifesti iniziano a tappezzare i muri delle città più̀ importanti, come Londra o Parigi, si tratta ancora di stampe in bianco e nero e con un tipo di impostazione grafica di derivazione letteraria, che obbligava alla lettura. Molto presto però la scrittura venne soppiantata dall’immagine, poiché́ consentiva di comunicare con immediatezza e di raggiungere un pubblico molto più̀ vasto rispetto alla piccola élite privilegiata ed alfabetizzata. Un notevole apporto al manifesto fu dato da due importanti pittori francesi: HENRI DE TOULOUSE LAUTREC, di cui fra i più̀ celebri ricordiamo Jane Avril ALPHONS MARIE MUCHA, di cui ricordiamo Biéres de la Meuse, ambedue esempi della corrente artistica dell’Art Nouveau. 

Nel 1886 nasce in America la prima agenzia di pubblicità̀: la Thompson, esistente ancora oggi con filiali a Londra, in Italia e in India, vanta oltre 8.500 dipendenti. La differenza con gli Stati Uniti era comunque ancora sostanziale: le agenzie americane avevano una cultura che si fondava sul marketing e sulle ricerche di mercato con figure professionali ben distinte, di contro le agenzie italiane erano tagliate a misura dei titolari e producevano una pubblicità̀ fondata quasi sempre sull’intuizione artistica o artigianale. Era determinante il carisma del titolare, e a mio dire, lo è ancora.

La Pubblicità diventa professionale:

Armando TESTA

Per avere un effettivo cambiamento dobbiamo attendere il 1950 anno in cui fu organizzato a Torino  il primo Congresso Nazionale della Pubblicità̀. ARMANDO TESTA rappresenta colui che segnò il passaggio dalla pubblicità̀ d’artista a quella professionale. Trasforma il suo studio grafico a Torino in un’agenzia vera e propria che negli anni ’90 diventerà̀ la più importante d’Italia. Al suo estro creativo dobbiamo i celebri manifesti per Pirelli e per Punt e Mes caratterizzati dai fondi bianchi e dall’utilizzo di colori primari. La sua comunicazione è spesso ironica, vedasi la campagna pubblicitaria ideata per la catena di supermercati Esselunga che ha meritato l’onore dell’esposizione al Louvre. Ma soprattutto, Armando Testa è in grado di cogliere il passaggio dal manifesto alla neonata pubblicità televisiva, chi non ricorderà i personaggi di Carmencita e Caballero, la coppia messicana che popola il mondo del caffè Lavazza, o l’ippopotamo Pippo per pubblicizzare i pannolini Lines. La cifra stilistica di Armando Testa è l’arte, un amore assoluto per l’arte con cui contamina le sue creazioni: le linee astratte di Mondrian, l’essenzialità della tedesca Bauhaus, le atmosfere oniriche del Surrealismo, gli accenti ludici del Dadaismo e della Pop Art. Testa gira il mondo visitando mostre su mostre, assimila ciò che vede e lo rielabora a modo suo, trasformando le avanguardie del Novecento in comunicazione di massa. Il suo sguardo vivace e curioso per tutto quello che lo circonda, gli permette di intercettare i desideri o i tormenti del paese, sintetizzandoli in tag-line memorabili e immagini iconiche: pensiamo alla bionda che nel deserto del Sahara ammicca al pubblico dicendo chiamami Peroni, sarò la tua birra”. Slogan molto discusso all’epoca, in cui si trova l’edonismo glamour e sensuale degli anni ’80.

Oliviero TOSCANI

Negli stessi anni si fa notare il fotografo OLIVIERO TOSCANI che sfodera pubblicità chiacchierate e di successo una dietro l’altra. Come non ricordare i Jeans Jesus, il cui manifesto fu considerato blasfemo per l’uso in chiave satirica di versi del Vangelo impressi sul lato B dei loro pantaloncini di punta. Persino Pier Paolo Pasolini, dalle pagine del Corriere della Sera del 17 maggio 1973, non mancò di esprimere il proprio dissenso per il “folle” slogan dei jeans Jesus che a suo dire era “un’indecente iniziativa commerciale.”   Non diversa sorte ebbe il sodalizio tra Toscani e Luciano Benetton, molte campagne pubblicitarie del noto Marchio di moda si sono concluse con polemiche. Alcune fotografie non avrebbero visto un giorno intero sui cartelloni pubblicitari. Si trattava di immagini nate volutamente per colpire, la necessità era quella di sensibilizzare e muovere battaglie di ordine etico, ad esempio come non ricordare i “cuori umani” della pubblicità contro il razzismo

Alessandro ORLANDI

Sicuramente in tempi più recenti vi ricorderete una pubblicità̀ dell’azienda dolciaria Motta (gruppo Bauli) “Buondì̀ Motta e l’asteroide”, che venne trasmessa qualche anno fa e che scatenò una vera bufera mediatica. Ideatore dello spot è Alessandro Orlandi, che ha sovvertito lo stereotipo della famiglia italiana dell’advertising, la famiglia creata dal Mulino Bianco dove tutti sono precisi e perfetti nei loro ruoli e si respira aria da Happy End. Il clamore è stato amplificato grazie al potere del web e ai social: nello spot c’è una bambina petulante che reclama con insistenza una colazione che sia “leggera ma decisamente invitante” per soddisfare finalmente il suo desiderio di “leggerezza e golosità”. Le rispondono prima la madre, poi il padre manifestando un certo scetticismo sull’esistenza di una colazione di questo tipo e la fine per loro non sarà felice. Uno spot che adotta uno stile ironico e grottesco, assai raro nella pubblicità di prodotti di largo consumo qui in Italia e che ha fatto sorridere gli italiani animati da quell’italico gusto per la satira ma, allo stesso tempo ha fatto inorridire parecchie madri social che hanno visto nella scena finale un’immagine troppo violenta e contro la famiglia. Sicuramente se l’obiettivo del marchio Motta era quello di rilanciare attraverso la pubblicità̀ uno dei suoi prodotti storici, ritengo che ci sia riuscito. Oggi il modo per farsi notare più̀ rapidamente è fare una comunicazione “fuori dalle righe”. 

La pubblicità emoziona, innamora, seduce. Suscita emozioni. Un chilo di pubblicità può contenere 999 grammi di razionalità, ma brillerà e si distinguerà per il suo grammo di follia. ( Luis Bassat)

Un accordo unico

L’elemento che accomuna le pubblicità esaminate, l’elemento che può essere considerato un comune denominatore è il CLAMORE. Una pubblicità è ben fatta quando raggiunge l’obiettivo di stupire, di scandalizzare, di suscitare polemiche, in definitiva di far parlare di sé nel bene o nel male.

Italia. Open to Meraviglia

Quando ho visto per la prima volta la Nascita di Venere del Botticelli agli Uffizi di Firenze, in cui le è dedicata un’intera sala, sono rimasta in estasi contemplativa, mi sono seduta su una panca, fin quando un addetto alla sorveglianza mi ha invitata a proseguire. Non è un’opera che puoi guardare in piedi, si rischia di cadere per terra per un’improvvisa perdita di coscienza, talmente grande è l’emozione che sprigiona: regale, maestosa, prorompente e impetuosa, non bastano occhi per ammirarla. La Venere non è un dipinto qualsiasi, la Venere incarna il Rinascimento con i suoi simboli di Bellezza, Rinascita, Rinnovamento, Fermento Culturale, Consapevolezza dell’uomo in quanto tale. Botticelli, come modella per il suo quadro, non scelse una donna qualunque, scelse la più bella del reame, la “senza paragoni” Simonetta Vespucci, giovane ed elegantissima dama.  Entrando nel merito della campagna Open to Meraviglia del Gruppo Armando Testa, – di cui diciamolo a lettere cubitali, il Gruppo porta solo il nome di quel genio che fu Armando Testa, il cui estro creativo rimane ineguagliabile – l’obiettivo principe, il clamore, lo ha assolto in pieno. Tuttavia, il clamore ottenuto non è sufficiente all’assoluzione di un simile misfatto, perché di misfatto si tratta.

Ritengo, senza dubbio alcuno, che il Gruppo possa essere accusato di vilipendio!

Vilipendio di un’opera d’arte, umiliata nella sua dignità di capolavoro e ridotta alla mercé di una qualsiasi influencer da quattro soldi, che indossa abiti e accessori da batteria. È stata paragonata in tono denigratorio a Chiara Ferragni – ormai chiamata in causa ogni qualvolta si manifesti il cattivo gusto – ma vi sbagliate, affetti non soltanto da misoginia ma anche da ignoranza radicale! Chiara Ferragni non indosserebbe mai quegli stracci, la stessa indossa e promuove l’Alta Moda Italiana ed è un’imprenditrice di successo. La Venere del Gruppo Testa compie gesti per cui l’Italia è conosciuta al turismo di massa. Un concentrato di luoghi comuni e stereotipi di bassa lega. La Venere derisa e dileggiata da chiunque: sui social sono stati realizzati infiniti meme, che prendono in giro l’opera d’arte, abbiamo persino visto la Venere intenta a raccogliere i pomodori! Non è sicuramente questo il modo per pubblicizzare l’Italia e per portare un turismo consapevole e di qualità.  Di fronte all’indignazione unanime suscitata, il Gruppo Testa ha reagito manifestando una boria supponente e inaudita, attraverso una pagina a pagamento del Corriere della Sera, ha dato dei cretini a tutti, cronisti, commentatori, professionisti del settore. Boria evidentemente mal riposta, considerando che sul sito di riferimento, l’ignoranza la fa da padrona, Open to Meraviglia è un ammasso di errori e strafalcioni: nomi di città storpiati, celebri siti culturali attribuiti impropriamente a località errate, la Slovenia utilizzata per lo spot pubblicitario. Ipotizzo che quest’ultima scelta sia stata fatta nell’ottica del risparmio, sicuramente con i nove milioni di euro stimati non avrebbero coperto i costi se avessero girato lo spot in Italia. (dite che si capisce la non velata ironia?)  È opportuno intervenire tempestivamente al fine di non creare un precedente: nessuno può permettersi di umiliare e saccheggiare le nostre opere d’arte e rimanere impunito.

Riproduzione Riservata: testi parzialmente rielaborati dalla Tesi di Laurea di Patrizia Zito

Immagine di Anteprima realizzata dall’ufficio grafico di Excalibur Promo

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