Quaquaraquà: narcisisti o qualunquisti?

Ogni volta che sono sul punto di convincermi che l’essere umano di genere maschile potrebbe cambiare registro, mi imbatto in persone che fanno sprofondare il malsano pensiero affiorante in un pozzo senza fondo.

E mi torna in mente uno spaccato di alta letteratura, a cui bisogna dare il merito  di aver coniato un neologismo, un’espressione che ha avuto tantissima fortuna tanto da essere diventata di uso quotidiano e da essere così calzante per definire una determinata categoria di uomini, che diventa impossibile utilizzare un altro termine in sua vece.

Un’espressione particolare, quasi un suono onomatopeico, “quaquaraquà,  un modo di dire diffuso nel meridione d’Italia, nello specifico,  tipico della meravigliosa Sicilia. L’origine della parola è letterario, di altissima letteratura, il padre è l’intellettuale e letterato siciliano  Leonardo Sciascia. La citazione difatti, proviene dal romanzo che  Leonardo Sciascia scrisse  nel 1961 intitolato “Il giorno della civetta.”  La storia prende spunto dall’uccisione ad opera di Cosa Nostra,  di Accursio Miraglia, un sindacalista comunista, che ha avuto luogo a Sciacca nel gennaio 1947:

L’umanità… La divido in cinque categorie : gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà

La parola ricorda il verso delle oche e ne indica il loro tipico starnazzare. E’ riferita pertanto, a quegli uomini che si riempiono la bocca di tante belle ma insignificanti parole che non trovano una corrispondenza nei fatti. Parole vuote, inutili, gonfiate ad arte,  una loquace verbosità che il quaquaraquà mette in atto al fine di farsi notare e di rendersi interessante.

Sono dunque, persone dall’ego spropositato, enorme, alla ricerca ossessiva di una platea per esibirsi. Incuranti dei sentimenti altrui, non si preoccupano di arrecare danno al prossimo, totalmente inaffidabili, sparano cazzate a gogò, esperti indoratori di pillole mendaci, carenti di una qualità che per definizione ci induce alla fiducia: l’affidabilità.


Il paradosso è che costoro si ritengono nel giusto. Secondo me tutto parte dalle euristiche, scorciatoie mentali che li inducano a raggiungere conclusioni prive di consapevolezza e disfunzionali. Diversamente non lo si potrebbe spiegare. 

Il problema è che la società pullula di questi soggettoni, un esercito sempre più presente in politica e in certi ruoli dirigenziali in ambito pubblico, in cui il vero valore morale e etico viene sempre più compromesso e  grazie all’effetto Dunning- Kruger perfetti incompetenti vengono sovrastimati e fatti accomodare su comode poltrone di velluto pagate con i nostri tributi.  Alcuni indossano talvolta, una divisa grazie alla quale si ammantano di un velo di intoccabilità e dietro la quale perpetrano nefandezze di ogni genere. Hanno l’aspetto come le facciate dei palazzi dei quartieri bene  ma l’interno è marcescente. Insomma come i sepolcri imbiancati. Come scrisse il grande Pirandello: “dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi; in corpo fiele; in bocca, miele.

I loro vuoti e macchiettistici qua-qua-qua sono sintomo di un malcelato narcisismo, pertanto cercheranno di instaurare pattern e cliché tipici di questa categoria. In questo vomito bulimico di parole che riversano sull’altro, cercano di confondere, di scompaginare, di manipolare gli ideali dell’interlocutore facendoli propri e ammantandosi di un fascino mendace, abili nel fare insorgere il senso di colpa e nel creare attenzioni in serie da elargirle a piene mani urbi et orbi.

Sciascia li definisce quaquaraquà, io che sono più prosaica e sicuramente più sanguigna, li definisco:

uomini di mmerda. Con due emme. Corrispondente al numero 71 per la smorfia napoletana, da giocare al lotto, magari sarete più fortunate.

Torna su