L’ultimo libro di Carmen Trigiante, Maternità imPropria, affronta un argomento che ancora oggi è altamente scottante nella società. Uno stereotipo consolidato nei secoli e che sembra non volere in alcun modo sgretolarsi.
“… la donna doveva coprirsi di veli, schiacciare la propria capacità seduttiva e bellezza, per rendersi compatibile con l’ideale di buona madre feconda, il cui paradigma è una vergine che rimane incinta per opera della Spirito Santo, immolata alla causa della riproduzione e della sottomissione al maschio”
Non dimentichiamo che fino a poco tempo fa, le donne che non volevano sposarsi e riprodursi venivano internate nei manicomi. Per introdurvi nell’argomento cito Silvio Venturi, direttore del manicomio provinciale di Girifalco che scriveva: “Nella donna la funzione dell’utero domina completamente ogni altra funzione e il suo spirito è spesso un riflesso della funzione di quello stesso utero. La donna che non ama e non è moglie o madre è meno di una donna”.
Una frase raccapricciante, ma ancora prima di essere una frase, è un concetto, una convinta ideologia radicata nell’uomo, nella famiglia basata sull’autorità del pater familias e nella società fondata su questi obsoleti principi.
Una donna che per scelta non vuole diventare madre, non soltanto sente addosso il condizionamento della famiglia, che sin da piccola la educa alla procreazione, ma viene ghettizzata dalla società, dalle altre donne che sono madri e che la guardano come fosse un’aliena liquidandola con la frase: “ cosa vuoi capire tu che non hai figli”
Lo stereotipo “angelo del focolare”, una donna dedita alla casa e alla famiglia è sempre in auge. Pertanto una donna oggi che si prefigge il raggiungimento di traguardi, che non vuole sposarsi né creare una famiglia, rimane poco apprezzata dalla società odierna.
Una volta che la donna ha raggiunta la soglia dei trenta anni e non ha ancora un figlio, parte l’ostracismo collettivo, interagire con amici, parenti, colleghi e conoscenti può diventare un incubo. E a contribuire a fomentare la caccia alle streghe per le donne senza figli per scelta ci ha pensato l’industria cinematografica per la quale sullo schermo non vengono mai rappresentate coppie senza figli felici di esserlo o dipingendo le donne senza figli come algide, spietate, calcolatrici, in cui il diritto di avvalersi alla non procreazione è solo una proiezione dei loro desideri dettati dall’ego.
Anche il mondo pubblicitario crea format che enfatizzano la famiglia con figli come un’oasi felice, si vedano ad esempio fra tutti, gli slogan pubblicitari ingannevoli del Mulino Bianco.
Viviamo in una società celebrativa della genitorialità, con l’idea disfunzionale che una coppia di genitori valga di più di una coppia di non genitori. Si tratta di un’ideologia discriminatoria che tende a colpevolizzare soprattutto la donna, inducendola a sentirsi una donna “a metà”. Gli strali della società non sono mai destinati all’uomo per non volere figli.
Carmen Trigiante affronta il problema in maniera minuziosa, non potrei immaginare una dissertazione sull’argomento più esauriente di questa. Inizia dall’analisi storico- religiosa con i famigerati anatemi biblici scagliati contro la donna – Eva e la mela del peccato sono sempre presenti:
“ Io moltiplicherò i tuoi affanni e le tue gravidanze: con dolore partorirai i tuoi figlioli, sarai sotto la potestà del marito ed egli ti dominerà… ella potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione”.
Il sesso è ammesso solo ai fini procreativi, Carmen cita Onan punito con la morte da Dio per aver praticato il coitus interruptus ma non dimentica anche le altre religioni , quale quella islamica con i violenti riti, peraltro ancora tristemente in uso, dell’infibulazione e della mutilazione di parte delle grandi labbra.
La disquisizione si sposta sul piano giuridico, puntando il dito contro la legislatura obsoleta che pur facendo sentire la pressione della necessità di essere madre ad un tempo non ne tutela la maternità fino a toccare il paradosso della Legge 40.
L’epilogo del volume, il capitolo dieci è un invito a fare “scelte felici”. La scrittrice, filosofa epicurea, in perfetta simbiosi con la natura, sostiene sulle orme di Nietzsche che : “la felicità, quindi, è la piena realizzazione delle particolarità, allontanandosi dal così fan tutti, ossia dalla morale di uso comune”.
Rivolge una critica aspra, assolutamente condivisibile, contro coloro che mettono al mondo figli con la speranza di ricevere assistenza in vecchiaia, ritenendolo un pensiero aberrante paragonabile ai “più avidi patti commerciali” e conclude citando Flamigni: “l’intelligenza sta nel comprendere che la famiglia inizia là dove c’è un atto di amore e che la comune concezione di maternità non è l’unica a meritare rispetto”
Chapeau a Carmen per l’ottimo lavoro!