Non lasciarmi la mano

Non lasciarmi la mano” di Rita Quinzio mi ha incuriosita ed emozionata, mentre mi conduceva sulla strada di profonde riflessioni.

La Storia, quella che ci lasciamo alle spalle dopo che ne abbiamo ricevuto una versione edulcorata o mistificata, è frutto della ricostruzione di chi l’ha prevaricata. Ciò vale sia per la Grande Storia, sia per la storia dei singoli soggetti che vivono, respirano, piangono, amano, mentre sono costretti a non sentire rappresentata la loro voce. È stata questa la grande opera dell’autrice: dar voce alle immagini che custodiva dentro di sé, ammansite per decenni, mentre la vita scorreva, condizionata dalle scelte altrui, dall’egoismo e dalla prepotenza che stende il gelo sui più deboli. Due bambini, emarginati, costretti a silenzi e deprivazioni emotive perché il perbenismo aveva deciso per loro, hanno finalmente il riscatto che meritavano, grazie alle parole di Rita, cariche di sorrisi e di lacrime.

Un racconto encomiabile, una ricostruzione storica che attraversa il periodo fascista, ci fa vivere l’atmosfera che precede la guerra mondiale, ci racconta di buffet matrimoniali, balli, canti e funerali, e poi si tinge di sofferenza, quando la Grande Guerra irrompe, spaccando milioni di vite.

La narrazione, storicamente complessa, è resa avvincente dallo stile letterario dell’autrice, carico di ironia, emozioni e capacità evocativa, ma anche di quei riferimenti filosofici che possono provenire solo da una penna figlia di continui approfondimenti culturali.

Personalmente adoro le ricostruzioni storiche, specie se, come in questo caso, l’autore ha la capacità di farle rivivere con una incredibile potenza letteraria.

Un libro da leggere, rileggere, gustare e imprimere nella memoria, perché si impari a cercare sempre la verità, ed a pretenderla, nel rispetto dei più deboli.

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