Marina Cvetaeva, una donna orgogliosamente “non per bene”

Io devo essere amata in modo del tutto straordinario

per poter amare straordinariamente

Marina vive per l’amore e per il dolore che per lei sono inscindibili. Impossibile paragonare la sua poetica ad altri, lei è unica, la voce femminile più alta della poesia russa. E unica è la sua vita vissuta come un romanzo triste. 

Nasce a Mosca nel 1894 e muore misteriosamente suicida a Kazan nel 1941

Sappiate che esistono solo omicidi
Al mondo nessuno si è mai suicidato.

In 49 anni, si concentra un’esistenza fatta di morti, rinunce, separazioni, amori e povertà. Una vita tragica, legata alla poesia come all’infelicità, mossa solo da turbamenti interiori.

L’Infanzia e il rapporto difficile con la madre.

La Cvetaeva era dotata naturalmente di una profonda sensibilità maturata in un ambiente familiare culturalmente ricco e stimolante. Il padre, filologo, aveva una cattedra all’Università di Mosca e aveva fondato il Museo delle Belle Arti e la madre, donna di straordinaria cultura e talentuosa pianista. Tuttavia, la sua famiglia era felice solo in apparenza, presentava delle crepe che a una bambina di grande profondità non potevano sfuggire. La madre, innamorata di un uomo sposato, era stata costretta a sposarsi senza amore rimanendo intrappolata in una prigione di convenzioni sociali e costretta a interrompere gli studi e rinunciare al suo vero amore.

La poetessa si sentiva non desiderata da sua madre e spesso sognava di essere adottata da una creatura immaginaria e da bambina ha perfino provato “un desiderio frenetico di perdersi” nella città di Mosca. La madre morì che Marina aveva 14 anni, ma continuò a essere una figura centrale per la scrittura della Cvetaeva e lo sviluppo della sua poetica, tanto che le dedicò anche uno scritto di memorie “Mia madre e la musica”. 

Una donna che lotta per l’emancipazione.

È forse da qui che prese avvio l’attenzione della poetessa nei confronti della condizione della donna, la sua lotta contro la stereotipizzazione della figura femminile, della sua riduzione in ruoli definiti di moglie e madre. E da qui anche l’impulso a restituire dignità alle figure del mito e della letteratura che, risorgono dalla penna della poetessa russa, con una nuova vita e in grado di fronteggiare la loro controparte maschile causa delle loro sofferenze e della loro fine. 

Donne che si prendono la rivincita sui soprusi subiti: Ofelia che accusa Amleto di misoginia; Euridice che intima a Orfeo di andare via e di non turbare la sua pace. Donne del mito che acquistano dignità e voce, la stessa che Marina Cvetaeva non perse mai, animata da un grande coraggio, incurante di ogni tipo di ostacolo che si presentava sul suo cammino.

Nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare lezioni di letteratura francese alla Sorbona e per avvicinarsi alla patria di Napoleone, figura molto ammirata da lei in quel periodo.  Di lì a poco pubblicò i suoi primi libri di poesie Album seraleLaterna magica pubblicata nel 1912, periodo in cui la giovane Marina si sposò con Sergéj Efron, di origine ebrea e di famiglia molto colta e da cui ebbe due figlie. Passionale e irrequieta, alla continua ricerca di qualcuno che potesse comprenderla nel profondo, Marina nonostante amasse profondamente il marito, ebbe numerose relazionali extraconiugali, amori carnali, spirituali e anche saffici. 

Trovate parole che mi incantino:

credo soltanto agli incantesimi

Tradì tutti gli uomini meno che se stessa, non intendeva annientarsi per amore, per nessuno.

Ho sempre voluto e addirittura preteso che mi si ami come sono
– per ciò che sono – perché sono.
Non per ciò che, secondo voi, potrei, dovrei, avrei dovuto essere.

Si definì una “donna non per bene”, proprio perché la sua diversità rispetto a paradigmi e luoghi comuni del tempo era così straordinariamente pronunciata da non poter passare inosservata.

L’Amore per Boris Pasternak

Il celebre poeta e narratore moscovita si innamora follemente della spigolosa ed immensa poetessa, sua concittadina, quando ne legge i versi. 

“La verità è che bisognava leggerla attentamente. Quando lo feci rimasi senza respiro per l’abisso di purezza e forza che si spalancava…”. – Boris Pasternak

Cominciò con lei una corrispondenza appassionata. Lui voleva lasciare la Russia e la famiglia per raggiungerla, ma lei si oppose. Non voleva lasciare il marito, seppur tradito dal primo giorno, e fermò Boris con mille ragioni, meno quella vera: che era un amore di penna e tale doveva restare.

Boris ti scrivo lettere sbagliate
Quelle vere non toccano la carta
– Lettera a Boris Pasternak –

Tu mi sei affine tutto, da parte a parte, terribilmente e angosciosamente affine, come io a me stessa – senza asilo, come le montagne. (Non è una dichiarazione d’amore: di destino)
– Lettera a Boris Pasternak –

E sempre, sempre, sempre, Pasternak, in tutte le stazioni della mia vita, accanto a tutti i lampioni dei miei destini, lungo tutti gli asfalti, sotto tutti gli ‘sghembi acquazzoni’ – sarà sempre la stessa cosa: il mio appello, il Vostro arrivo.
– Lettera a Boris Pasternak –

Una nota dolce nella tragicità della loro vita, costellata di povertà e isolamento dalla comunità letteraria. Nonostante la grandezza della loro ispirazione narrativa e poetica, Boris non riuscì mai a ricevere il premio Nobel per il suo unico grande romanzo, “Il dottor Zivago” a causa di un intrigo della CIA e del KGB e morì in povertà, mentre Marina, isolata dalla colonia dei profughi russi, tornò in Russia. Il marito fu ucciso dai servizi segreti, una figlia era già morta precedentemente e l’altra figlia costretta al confino, Marina si suicidò misteriosamente e il suo corpo fu sepolto in una fossa comune.

Aveva 49 anni. La sua poesia resta ineguagliata, come il suo orgoglio.

E per tutta la vita
Ho inondato d’amore
Sempre le persone sbagliate.

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