Gala e Dalí. Il fuoco sacro dell’eros.

Chi era Gala, la musa dei surrealisti? 

Donna dal fascino ineluttabile e dalla vis erotica impetuosa, nata Elena Dimitrievna D’jakonova, è stata una mercante d’arte russa ma anche modella. Non bella secondo la bellezza canonica, aveva tratti arcigni ed era algida nonostante il fuoco le bruciasse l’anima. Eppure chi inciampava in un coup de foudre, al suo cospetto, rischiava tutto fino alla resa totale. Gala aveva un magnetismo inesorabile che incantò uomini dal genio magniloquente ma forse ipersensibili e fragili, bisognosi di una donna dominatrice e imperiosa quale lei era.

Gala, «era una pura forza sessuale», bruciava d’amore tanto che chiunque avesse condiviso con lei il letto, rimaneva arso vivo dalla di lei passione. Giunse  dalla Russia per sconvolgere  il mondo culturale francese, la sua  bellezza magnetica la trasformò in “musa inquietante” dei surrealisti, in cui gli scambi orgiastici ne abitavano l'essenza. Lilith come archetipo viveva in lei in tutta la sua veemenza, era impossibile resisterle.

Divisa tra Èluard e Dalí

Salvator Dalí, il grande genio surrealista, conobbe Gala in Spagna e fu colpo di fulmine. Gala era ancora sposata con Paul Èluard, noto poeta francese, devoto e legato a lei da una totale sottomissione che gli faceva accettare i continui tradimenti con altri uomini di cui lei non si privava. Con uno dei suoi amanti, il grande pittore Max Ernst, si instaurò una specie di triangolo perverso che logorò il loro matrimonio.

L’incontro con Dalí fu fatale. Gala lasciò Eluard che non smise di supplicarla con missive trasudanti eros e disperazione.

La bellezza da sola non basta. Senza amore, tutto il resto è perduto, perduto, perduto, un insieme sgradevole di contrattempi e veleni ignobili e disgustosi.

Non c’è vita senza amore.

Ed io, mia piccola Gala, ti amo infinitamente.

Non credo affatto alla vita, credo in te. Questo universo che è mio e che si mescola alla morte non può entrarci che con te. È fra le tue braccia che esisto. È dentro i tuoi occhi, fra i tuoi seni, fra le tue gambe che non mi spegnerò mai. Il resto, è solo una grande miseria che sogna solo di crollare. Sono incredibilmente triste e confuso. Ho abusato troppo della vita. E ti amo troppo, lo dico con ardore, con fede, di sogno in sogno, ho cambiato universo, sono passato nel tuo.

Guardati nello specchio, e guarda gli occhi che amo, i seni che amo, il sesso che amo, le belle mani, ascolta come parli, mia unica amica, capisci perché comprendo solo il tuo linguaggio, perché ti lascio libera, e quale gioia ricavo dalla tua, perché ti voglio audace e forte e fatta a tua immagine e somiglianza, secondo la tua volontà che è anche la mia, e che si è meravigliosamente elevata, come la mia, sul nostro amore.

Ti adoro e ti abbraccio dappertutto

Paul Èluard a Gala_______

Con Dalí un incontro destinato

Ma contro quella nuova unione voluta dal destino non si poteva combattere, una forza ancestrale li legò fino alla fine dei loro giorni

“Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e perfino più del denaro”. Salvator Dalí

E continuò per tutta la vita a dipingerla con un’enfasi assoluta, mettendola al centro del suo universo sentimentale, spirituale e creativo. Così Dalí descrisse il loro primo bacio:

«Di un sol colpo tutti i miei Parsifal erotici si risvegliarono. I nostri denti si urtarono e le nostre lingue si allacciarono, non era che l’ inizio di una fame che ci spingeva a mordere e a divorarci fino in fondo».

Quell’incontro fatale, quasi un incantesimo, delineò il destino dell’uomo e del genio artistico. Salvador Dalì amò Gala con uno slancio totale, tale da avere un ruolo centrale nelle visioni oniriche di Dalì. L’unione fortemente carnale che connotava la loro unione fece da detonatore alla creazione immaginifica dell’artista capace di partorire immagini e forme nuove. Dalì fu ossessionato dalla figura di Gala, tanto da definirla la sua Gradiva ( ispirandosi al romanzo di Wilhelm Jensen del 1903)

Nella sua autobiografia Salvador Dalí dedica un paragrafo ai soprannomi che dava all’amata:

Salvator Dalí, Gradiva, 1931

“Io chiamo mia moglie: Gala, Galuchka, Gradiva (perché è stata la mia Gradiva); Oliva (per la forma del suo volto e il colore della sua pelle); Olivette, il diminutivo catalano di Oliva, e i suoi derivati deliranti, Olihuette, Orihuette, Buribette, […]. La chiamo anche Lionete (perché appena si arrabbia ruggisce come il leone della Metro Goldwyn Mayer); Scoiattolo, Tapiro, Piccolo negus (perché rassomiglia a un vivace animaletto delle foreste); Ape (perché scopre tutte le essenze che, gettate nel crogiolo del mio cervello, diventeranno il magico miele dei miei pensieri). […] E ancora Campanella di pelliccia (perché, mentre dipingo legge per me ad alta voce, e la sua voce ha il soffice mormorio di una campanella di pelliccia, che mi permette di apprendere quanto, senza di lei, sarei destinato a ignorare.” 

Salvador Dalì, La mia vita segreta, Abscondita, 2006, p. 190.

Amore nonostante tutto

Il loro amore durò tutta la vita, nonostante i continui tradimenti di lei, che ormai anziana aveva unioni sessuali con giovani uomini a pagamento e continuò anche quando decise di consegnarlo alle cure di una emergente Amanda Lear. 

Gala morì nel 1982 a ottantotto anni, con Dalì che la vegliava ormai prossimo alla depressione. Sul letto di morte il suo viso, che aveva ricorso senza misura alla chirurgia estetica, divenne orrifico, un raccapricciante campo di guerra con ferite, buchi e cicatrici.

Dopo l’ultimo sospiro, Dalì ordinò che il corpo della donna che aveva amato più di se stesso, fosse imbalsamato e deposto nella cripta del castello di Pùbol che lui stesso aveva donato alla moglie. 

Un ultimo gesto di quella venerazione erotica che lo tenne avvinto e soggiogato tutta la vita.

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