RADIX…di Patrizia Zito

Ho sempre amato e letto i versi dei grandi poeti e poetesse che hanno arricchito la letteratura di tutti i tempi. Le loro poesie sono state di grande ristoro in diversi momenti bui della mia vita o anticorpo contro la superficialità dilagante che annienta la società odierna. Di fronte all’innumerevole quantità di parole scritte, spesso inutili e inconsistenti, da cui siamo costantemente bombardati ci vuole qualcosa che faccia da argine. Ecco la poesia fa tutto questo e molto altro.

La poesia mi ricorda che esiste un altrove che sovrasta la quotidianità, risvegliando qualcosa che magari non mi ero nemmeno resa conto si fosse addormentato. La poesia mi ricorda che ho un’anima ed è il mezzo più veloce per mettermi in contatto con la sua parte più profonda. Bisogna soltanto lasciar scorrere il fiume delle emozioni e non frenarle, liberarsi dai tabù con cui siamo stati educati e avere il coraggio di mettere a nudo la propria anima al di là dei giudizi che possiamo suscitare. 

La raccolta di versi, a cui ho dato il nome RADIX,  che leggerete qui di seguito, è  il frutto del mio sentire con tutte le sue sfumature e colorazioni. Quindici poesie, ispirazioni che sopraggiungono inaspettatamente per cullare le ferite dell'anima; sentimenti forti e dolorosi che hanno fatto parte della mia vita e che grazie alla penna ho cercato di dipanare, dar loro una dimensione e infine esorcizzare. La mia poesia è l'urlo dell'anima che mi supplica di far fluire la vita, di ritornare a parlare l'unico linguaggio possibile, quello dell'amore. 
Disegno di Giovanni De Domenico

ESSENZA (2)

Una spada

Flessibile, duttile e forte.

Una spada che danza

che obbedisce con orgoglio ai ritmi della vita

ai duri ritmi del suo ferro.

Una spada che può essere forgiata con una ardente fiamma.

Una spada

voglio essere, anima e corpo.

Una spada di prezioso metallo che danza.

NESSUN PADRONE (4)

Mi accudisco con calma, 

ogni gesto reca in sè la sacralità che merita

la mia tavola è sempre apparecchiata 

e il mio desco non uccide nessuno

il fuoco sempre acceso

le redini ben salde

nessun padrone nella mia vita

VESTALE (1)

Sono fuoco

puro e sacro fuoco

luce e calore

scaldo, brucio, ardo, curo, guarisco, creo, costruisco e distruggo.

Se voglio, gioco col fuoco.

Non mi brucio.

Tutto in mio potere e come una vestale lo custodisco

affinché la sua fiamma arda in eterno.

SEDUZIONE (14)

Ti guardavo

e avevo tutte le seduzioni negli occhi

Danzavo

scia di talco arabo

e nivei veli 

e come Salomè

volevo la tua testa

La “luna ciprigna”

complice spettatrice del mio delitto.

DESERTODI ME (11)

Ho abitato diverse dimore d’oro sulla terra

tutte eccedenti del nulla

disadorne di pareti senza libri

disanimate da corpi senza cuore

nessuna stanza era per me

pur di andar via mi sarei finta morta.

Ho abitato in luoghi situati oltre ai confini della terra

In tempi remoti o paralleli 

tra le divinità.

Ogni casa lasciata soffriva della mia assenza

I guanciali mantenevano il mio profumo

I bicchieri le impronte delle mie dita

Il letto la forma del mio corpo

Gli specchi la mia immagine

E tu? 

Tu soffrivi nel deserto di me.

NON PIÙ TUA (6)

Guardando i tuoi occhi egizi e neri 

intuivo le tue intenzioni

e bruciavo come le fiamme dell’inferno.

Schegge di memoria, pelle d’ambra e lingua felina mi ferivano a sangue.

Innumerevoli le volte che implorando la luna, 

ho chiamato il tuo nome stretto tra il recinto dei miei denti.

Risaliva dal grembo il desiderio indomabile, il piacere dell’attesa di te

I nostri corpi, mappe divine, congiunzioni di eternità.

La tua voce “Mia dea”, mi sussurrava, non ci credevo, ma per qualche istante mi sollevava da terra.

Troppo aspre e crude le altre parole, o assenti, perse nel “sono fatto così”

Banalità del male

Tempesta di fuoco prima, acqua gelida dopo. 

Lunghe pause e dolorose distanze.

Sempre parchi i tuoi gesti d’amore, ingenerosi e avari per me, che amo l’opulenza.

Ora non sanguino più

indifferente anche se rubassi la luna dal cielo per me.

Tutto appare fuori luogo

trasformato in un ricordo scolorito.

Non più tua.

E non so se trionfo o sconfitta. 

CADO IN PIEDI (5)

So quando e perché sono caduta

e i dolori che ho provato.

Lancinanti, credevo insuperabili.

Ho raccolto brandelli di me qua e là.

Di ogni inciampo medaglie e trofei.

Ricompongo i miei difetti.

Mi guardo allo specchio.

Accarezzo la mia imperfezione.

E mi voglio bene perché conosco i miei carati.

Questa consapevolezza mi indica la via come un faro nella notte.

Ora so che se cado, cado in piedi.

UN PADRE? (9)

C’è stato un tempo in cui sono stata amata da te

bello e valoroso ai miei occhi ingenui di bambina

figlia prediletta mi sentivo.

Protetta da ogni sciagura

mi inebriavo delle tue favole

fiera di te, anelavo il tuo sapere

Quanto beffarda è la vita 

che profana la felicità!

Presto compresi che non basta averne il diritto

per ricevere amore.

Abbandonata sine cura

“ho un’altra famiglia”, dicesti.

Giovinezza buia come l’Erebo, 

imprigionata negli ingiusti sensi di colpa 

e nelle dicerie vigliacche.

Per difesa, adottai l’incedere altero, 

lo sguardo sprezzante e la penna brandita come un fioretto.

Idealizzavo di te nelle mie fantasie, 

riparo dalla feroce verità

di essere orfana di padre vivo.

TERRA NATÌA (3)

Mai a cuor leggero

vengo a te, Zancle.

Rea di essere palcoscenico ignaro dei più grandi dolori della mia vita.

Eppure rimani ancora impenitente.

Lacrime grosse come pietre precipitano per terra,

frantumandola in mille schegge, così anche il mio cuore.

Guardo il mare, faccio mia la sua forza e sto.

Miracolosamente sto.

FREMITO (8)

C’è un forte vento stasera

vento da est

vento da cerchi artemidei e danze intorno fuoco

aggroviglia i capelli in spire serpentine

sparpaglia i pensieri 

strofina i desideri,

li accende come pietra focaia

Un pensiero si fa rotondo

come palla di fuoco 

rotola fino ai tuoi piedi

Lo raccogli e ne fai

un incanto onirico

TOPPE D’ORO (7)

Ho eliminato i sensi di colpa, fardelli iniqui da portare

Rimane una profonda compassione per me

Per tutte le volte che avrei dovuto essere amata per diritto e non lo sono stata 

Per tutto quello che ho superato

In silenzio

Da sola

Ho rammendato la mia anima lacerata con toppe d’oro

RANDAGIA (10)

Sei andata via

lasciando l’immutato permanere di Caino e Abele.

Non obbedisco ai vincoli di sangue, onoro quelli d’amore.

La mia mente indugia nei ricordi

di aspre divergenze

di pensieri distanti e diversi

di antiche preferenze che mi vedevano esclusa.

Desideravo carezze ed elogi

ricevevo silenzio o parole come coltelli: “sei come tuo padre”

Restituivo ostilità.

I miei passi mi hanno condotto lontano

ma nel guardare indietro il non detto mi squassa il petto.

Tradimenti immeritati mi sorprendono alle spalle

un magma intestino che urla giustizia mi brucia.

Randagia, ho adottato me stessa

ma ho ancora fame e sete.

CONGEDO (15)

Ho visto volti senza anima

Con sguardi vuoti come allocchi

tenere conversazioni fatte di aria

Guardavo e ascoltavo

come nella visione autoscopica – fuori dal corpo

Io spettatrice imposta di una vita non mia 

solo tua l’assenza del vero

maschera fra le maschere

Aggrappata alla sopravvivenza

offrivo di me presenza assenza

Mi guardo allo specchio

Riflesso sbiadito. Sono io?

Rivoglio la mia luce

Mi congedo da te

ieri per sempre

BACIO SULLA FRONTE (12)

Io così fuori dal tempo 

nella ricerca della bellezza

con la tavola abbigliata di trine e porcellane

con i biscotti riposti in un vaso di vetro

con i ritratti nelle cornici d’argento

con gli asciugamani di fiandre e lino

con il profumo di lavanda nei cassetti

Io così dentro il tempo

con la mia disobbedienza

con la fierezza di donna

con la mia indipendenza che non può essere barattata

Io così oltre il tempo 

che vorrei mi salutassi con un bacio sulla fronte.

I MIEI SENI (13)

I miei seni recano ancora le impronte delle tue mani

Le mie orecchie, l’eco dei tuoi audaci sussurri

Mi bracca ancora il tuo sguardo ipnotico 

come quando ti cibavi della mia ambrosia

perlustrandomi tutta e 

agitandoti dentro di me

mi incoronavi regina sull’altare dei sensi 

L’incanto, la malia.

Dannati a desiderarci per sempre

MI TIENI STRETTA (14)

Ti tengo stretto

I nostri corpi

danze tribali

di fiele e miele

di acqua e fuoco

di cielo e terra

Ti tengo stretto

grovigli di lingue serpentine

Ti tengo stretto

tu maestro d’orchestra

io chiave di violino

musica soave sotto le tue dita

Ti tengo stretto

spasmi involontari al pensiero di te 

fremiti voluttuosi al contatto con te.

Alta marea nel mio ventre

Mi tieni stretta

TESTI DI PATRIZIA ZITO. IMMAGINE DI ANTEPRIMA REALIZZATA DALL’UFFICIO GRAFICO DI EXCALIBUR PROMO. DISEGNI DI GIOVANNI DE DOMENICO. RIPRODUZIONE RISERVATA

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